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L’importanza dell’antiquario romano Paolo Paolini a cavallo tra Otto e Novecento è testimoniata dalle parole di Bernard Berenson che, in una lettera del 1912, lo ricorda come uno dei maggiori fornitori dei potenti mercanti newyorkesi Duveen, con i quali entrò in contatto grazie alla sua intermediazione. Pochi sono i dettagli noti in merito alla sua attività. Nell’introduzione al catalogo della vendita della sua collezione del 1924, tenutasi dopo la morte presso l’American Art Association, si precisa che nei trent’anni precedenti l’antiquario aveva procurato opere del primo Rinascimento italiano a tutti i più rilevanti collezionisti d’oltreoceano, come John J. Johnson, Henry Walters, Dan Fellows Platt, Philip Lehman, andando ad arricchire le collezioni dei nascenti musei americani. Si desume quindi che l’attività di Paolini fosse iniziata alla metà degli anni Novanta dell’Ottocento.
Aveva un negozio a Roma e una casa privata a Montepulciano, dalla quale partivano le missive per Berenson, oggi conservate nell’archivio di Villa I Tatti. Era specializzato in dipinti, sculture e cornici che pare restaurasse in caso di necessità. A Firenze collaborava con un antiquario poco conosciuto, tale Leopoldo Aretini, al quale delegava alcune vendite e che utilizzava anche come intermediario per mostrare opere a Berenson. Avvicinava lo studioso anche tramite l’invio di fotografie. Sono infatti documentati rapporti di Paolini con il fotografo romano Anderson e con il fiorentino Vittorio Jaquier.
Tra gli affari realizzati grazie al supporto di Berenson vi fu la cessione di numerosi dipinti a Arthur J. Sulley, il mercante londinese specializzato in Old Masters Paintings olandesi.