Fondazione Federico Zeri

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Antonacci-Efrati

Emanuele Efrati fu tra i primi ad aprire un’attività di antiquariato in via del Babuino a Roma negli anni Dieci del Novecento. Nel 1916 fondò la “Galleria Efrati”, con sede al civico 144, specializzandosi nella vendita di mobili antichi, oggetti d’arte e paramenti sacri.

Nel corso del tempo gli subentrò la figlia, Luigia Efrati, che continuò la professione dedicandosi alla vendita di mobili rinascimentali, porcellane e argenti assai ricercati all’epoca.

A partire dal 1941, il figlio di Luigia, Giuseppe Antonacci (1923-2010), diede un nuovo impulso al commercio famigliare, portando l’impresa ad una dimensione internazionale. Sotto la sua direzione, negli anni Cinquanta, il negozio fu ampliato fino al civico 146 e cambiò nome in ‘Antonacci-Efrati’.

Durante la sua carriera di antiquario, Giuseppe Antonacci viaggiò in tutto il mondo, recandosi frequentemente a Londra, allora centro del mercato dell’arte. Iniziò a trattare, oltre a mobili italiani e europei di alta qualità, sculture antiche e moderne e dipinti, dai fondi oro alle opere dei vedutisti del Settecento.

La galleria divenne un punto di incontro per collezionisti e studiosi. Tra i frequentatori più assidui ci furono Giuliano Briganti, Alvar González-Palacios, Federico Zeri e Giancarlo Sestieri.

Agli inizi degli anni Ottanta del Novecento Giuseppe è stato affiancato nell’attività dai figli Paolo e Francesca ai quali ha lasciato la conduzione nel 1988. Questi hanno portato avanti la galleria fino al 1998, anno di chiusura definitiva della ‘Antonacci-Efrati’.

L'entità Antonacci-Efrati è così composta:

Geolocalizzazione dell'attività antiquariale:

Hanno collaborato con l'entità Antonacci-Efrati:

  • Alvar Gonzales Palacios (storico dell'arte)
  • Federico Zeri (storico dell'arte)
  • Giuliano Briganti (storico dell'arte)

Bibliografia essenziale:

  • Batini, G. (1961), L'antiquario., Firenze, Vallecchi.
  • Riccio, B. (Ed.) (1996), Lettere sull’antiquariato?: di Mario Praz e Luigi Magnani 1952-1981., Torino, U. Allemandi., p. 116